22 Gen Gli adolescenti e la pandemia
Nell’anno che si è appena concluso, caratterizzato dalla pandemia da Covid-19, tra i soggetti più colpiti dalle restrizioni per arginare i contagi ci sono sicuramente gli adolescenti. Ne parliamo con la dottoressa Elisa Spini, psicologa presso il Centro Medico Benvita.
Buongiorno dottoressa, possiamo affermare che gli adolescenti hanno subito più di altre categorie le conseguenze legate all’emergenza sanitaria in corso?
Sì, sicuramente. Gli adolescenti sono una categoria che già di per sé vive un momento delicato della vita, quello della transizione dall’età dell’infanzia all’età adulta, un momento di passaggio che porta a delle trasformazioni e dei cambiamenti. È un periodo della vita in cui si è chiamati ad andare un po’ oltre i limiti, oltre i confini, ad esplorare e a trovare la misura giusta in cui stare. Questo purtroppo è il loro compito evolutivo che, ora, non possono mettere in atto a causa dei limiti imposti dall’alto, limiti per altro necessari per poter sperare di tornare quanto prima alla normalità che tutti conosciamo e per affrontare questa pandemia.
Qual è il bisogno dell’adolescente?
Gli adolescenti, rispetto alle altre persone e alle altre fasi della vita, vivono una condizione in cui hanno proprio bisogno, per diventare grandi, di stare con gli altri e di misurarsi con i loro coetanei, col gruppo dei pari, il tutto per completare il processo di distacco dalla famiglia di origine per trovare la loro identità. Stanno vivendo sicuramente un momento difficilissimo.
Lei che cosa ha osservato attraverso la sua attività professionale?
Io vivo con molto dispiacere queste rinunce dei ragazzi, è il dispiacere che avverto in loro per la rinuncia. Rimango molto colpita dai racconti che sento su quanto siano in grado di stare all’interno delle regole imposte, di come abbiano trovato il modo per conviverci, non sempre con serenità ma anche con dolore: sono veramente resistenti.
Le situazioni più preoccupanti possono non essere tanto quelle in cui si manifesta una reazione, quanto piuttosto quelle in cui si vive con rassegnazione e accettazione passiva questa condizione facendola diventare normalità?
La passività può essere una sorta di segnale di allarme: alcuni riescono a conservare quella sana ribellione tipica dell’adolescenza arrabbiandosi e vivendo in un modo più ribelle che riescono ad esprimere anche in famiglia; altri vivono l’esperienza opposta per cui trovano una condizione di benessere anche nel vivere isolati. Abbiamo ad esempio sentito parlare negli ultimi mesi della sindrome della capanna che esprime la difficoltà di riaprirsi al mondo esterno dopo essere stati rintanati nel proprio mondo, a casa propria davanti al pc.
È un tempo che questi ragazzi perdono, perché non stanno vivendo tutto ciò che caratterizza la loro età, o è un tempo che si recupera?
La sua domanda mi fa venire in mente il tema del “tempo sospeso” che non riguarda solo gli adolescenti, ma che riguarda un po’ forse tutti noi, come se mettessimo la vita in pausa. In realtà noi tutti, adolescenti compresi, questa esperienza la stiamo vivendo: è un tempo vissuto questo! Perdiamo certamente un po’ di prospettiva futura che ci dà il senso di vivere con un’intenzionalità, con un obiettivo, che poi è quello che ci alimenta e ci dà l’energia per fare le cose. Questo tempo, insomma, non si deve recuperare perché lo si sta già vivendo, ma occorre però che lo si viva al meglio, tutti quanti, adolescenti in primis, perché è questa la realtà che abbiamo.
Lo smartphone è diventato l’unico mezzo per comunicare. Quando tornerà la normalità i ragazzi riprenderanno ad avere una socialità fatta di rapporti umani o tenderanno secondo lei a mantenere questa virtualità nei contatti con i coetanei?
È una previsione che non possiamo fare, ma i ragazzi arrivano comunque da un’esperienza pregressa di bambini che hanno imparato a socializzare. Molti fanno anche degli sport o sono impegnati in altre attività che prevedono il contatto umano: quindi riconoscono quanto esso sia prezioso ed è questo il motivo per cui ne sentono tanto la mancanza. Confido anche nel fatto che la socializzazione rappresenti un bisogno talmente primario che i ragazzi non possano dimenticarlo. È un tema che dobbiamo avere ben presente anche noi adulti: come fare a ritornare ad avere una socialità fatta anche di corpi, oltre che di chat e messaggi vocali.
A proposito di adulti, che ruolo hanno in questa situazione?
È sicuramente importante il ruolo che possono rivestire gli adulti nell’accompagnarli verso la nuova normalità. Questa pandemia ci sta facendo capire che nulla è definito e che tutto è incerto: bisogna fare un passo alla volta per immaginarsi che cosa accadrà. Quindi il consiglio è di affrontare tutto con estrema naturalezza, ricordando che questo tempo è un tempo che comunque è stato vissuto e non perso e noi adulti dobbiamo essere un supporto importante per riportarli ad una normalità che, probabilmente, riscopriranno diversa. Potrebbero scoprire, insomma, cose che prima non ritenevano interessanti. Gli adulti sono un sostegno fondamentale per i ragazzi, perché gli devono riconoscere questa grande fatica che fanno, devono accettare questi loro stati emotivi di rabbia, tristezza, malinconia… Pensiamo alla nostra adolescenza e immaginiamo come poteva essere per noi non poter uscire il sabato sera o non poter vedere gli amici: in questo modo capiamo meglio che cosa stanno vivendo i nostri ragazzi e quanto grande può essere il loro dolore nel dovervi rinunciare.
Quindi l’adulto, da cui il ragazzo vuole allontanarsi, diventa un supporto fondamentale?
Sì. L’adolescente è in quella fase in cui ha un grande bisogno di allontanarsi dalla famiglia per trovare i suoi spazi. Noi adulti possiamo riconoscere questo loro bisogno, magari ridefinendo dei confini che consentano loro di avere degli spazi privati un po’ più intimi, seppure in una condizione di convivenza forzata. Oppure possiamo sintonizzarci a livello emotivo con loro, dicendogli proprio che capiamo la loro enorme fatica. Un’altra cosa che possiamo fare è aiutarli a crearsi una routine: alzarsi, lavarsi e vestirsi, evitando magari di fare la DAD in pigiama… Perché ciò che viene a mancare in questa situazione è proprio il passaggio da un’attività all’altra, da un ambiente all’altro.
Quale altro aspetto è venuto a mancare a questi ragazzi nell’ultimo anno di emergenza sanitaria?
Un’altra cosa che tocca i ragazzi in questo momento è che il tempo passa, sebbene sembri che tutto sia sospeso: i compleanni si festeggiano, le ricorrenze ci sono; si passa dalla scuola media alla superiore; appuntamenti epocali come la maturità sono stati ridotti a colloqui in videochiamata e gli ultimi maturandi non hanno avuto neanche la famigerata “notte prima degli esami”. Sono venuti a mancare tanti riti di passaggio e le celebrazioni che questi avrebbero comportato. La perdita dei riti di passaggio impoverisce, per cui è importante riconoscere a questi ragazzi anche la loro rinuncia forzata a questi riti e a queste celebrazioni.
Ringraziamo la dottoressa Spini e ricordiamo che è possibile prenotare un appuntamento ambulatoriale con lei cliccando su questo link.